Spesso ci auguriamo che un rifiuto professionale non sia mai accaduto, che il successo di qualcun altro si trasformi in uno stimolo e che la contentezza ‘si e no’ del nostro successo professionale si evolva in un progetto duraturo. Oggi è tutto in mutazione e le certezze sembrano dileguarsi.
Comunque vada, in qualsiasi piano della realtà ci muoviamo, siamo alla consolle.
Dal nostro osservatorio, quando viviamo delle posizioni professionali difficili, le scelte sono inevitabili.
Dopo le scoperte, le verifiche e le verità amare, ci si deve muovere. Si abbraccia se stessi per aver, forse, dato il massimo. E ci si scusa con l’altro, per non averlo convinto o capito.
Le lacrime e la rabbia di una sconfitta sono utili se le fatiche ci fanno accettare la cruda realtà. Una realtà che non ci contempla, ma che ci obbliga a trovare nuove idee, ci invita a diventare come neutrini e a trasformarci. A cambiare pelle.
Pertanto, mentre si fanno le valige per andarsene, bisogna continuare a sognare.
La sconfitta, un’idea non sviluppata, un progetto andato in malora, reclamano di passare attraverso quella materia e quella perdita per trasformarci.
Chi non ce la fa a cambiare e a interpretare gli eventi, vive emozioni, parole e musica. E giudizi. Talvolta docce fredde. Ed è di fronte ad un bivio. Accettare le proprie azioni piatte e qualche sedia vuota. E quel futuro davanti.
Ricordandoci che alla consolle ci siamo sempre noi, abbiamo il compito di saperci ritrovare dopo aver cambiato pelle e abiti.
Abbiamo bisogno di osservare, nella noia di un tempo vuoto e di una sedia che scotta, in cosa ci siamo trasformati. Per tirarne fuori la bellezza, invece del rimpianto di una vita differente.
Quindi, a mente aperta, sguardo allo spazio circostante e mani sulla consolle. |